La donna entra
nella casa. In silenzio.
Da quanto tempo non ci torna?
Da quanto tempo non ci torna?
L'ultima volta c'erano
i suoi genitori ad accoglierla, e con lei i bambini a fare festa.
Ora è sola.
Si avvicina ad una
finestra e la spalanca decisa.
La luce del
mattino inonda la stanza attraversando malinconica l'aria ferma e pesante di
polvere.
Lei volge lo
sguardo tutt’intorno: la vecchia credenza coi centrini all’uncinetto oltre i
vetri smerigliati, il pesante tavolo in legno con la cerata a quadrettoni
scolorita dal cif, il televisore spento, i braccioli logori della poltrona, i cerchi scuri della stufa che ancora odorano di caligine.
Tutto ha un
sapore famigliare, ma è come se appartenesse a un’altra vita, a quella che ha
lasciato diversi anni prima, per seguire la sua strada.
Ne è più fiera,
o è più il rimpianto di quello che ha lasciato a stringerle la gola?
Un po’ tutte e
due le cose, forse.
Apre lentamente
la portina di un armadietto, poi lo richiude senza toccare niente. Fa lo stesso
con un cassetto, con l’antina del sottoscala: un frullatore col bicchiere in
vetro, un tostapane dalle manopole bruciacchiate, un macinacaffè tenuto insieme
con lo scotch.
Passa dalla
cucina alla stanza da letto: nell’armadio un abito passato di moda in perfetto
ordine sotto la copertura di cellophane, tre grembiuloni di tela a fiori sbiaditi,
i pantaloni di velluto con le coste consumate sulle ginocchia.
La donna respira
a fondo muovendosi lentamente, è come se il tempo stesso, tra quei ricordi,
scorresse ad una velocità diversa dal consueto.
Da dietro lo
sportello di un comodino scivolano fuori un mucchio di carte: vecchie bollette
insieme con pieghevoli pubblicitari e cartoline illustrate.
C’è tanta roba
inutile. Che mette tristezza.
Roba
ammucchiata lì per vizio, o per una sorta di paura nel disfarsene.
Roba alla quale
nessuno ha mai detto addio, che adesso rimane lì, triste, orfana dei suoi
padroni da un giorno all'atro, così come lei, da un giorno all'altro è rimasta
orfana dei suoi genitori.
Chiude la porta
della stanza con un tonfo netto, uscendo, poi entra in quella che una volta è
stata la sua. Il letto è fatto, con le lenzuola stirate.
Alza gli occhi:
appeso alla parete, incorniciato come un quadro, c'è un puzzle.
Glielo avevano
regalato quando era bambina, ma non era adatto alla sua età: l'immagine, un
mazzo di fiori di campo, è un tripudio di colori senza mai un contorno ben
preciso. Per quanto si fosse sforzata non era riuscita a terminarlo se non
diversi anni più tardi, quando ormai alcune tessere erano andate perdute.
Aveva sempre
rimproverato suo padre che aveva voluto incorniciarlo così, col vuoto di quelle
quattro tessere mancanti.
Eppure è
bellissimo.
Ci sono momenti
nella vita che per un motivo o per l'altro rinunci a vivere, occasioni che non
cogli e che non si ripresenteranno. Persone che hai perso o dalle quali ti sei
allontanato che ti mancheranno per sempre, anche quando qualcuno prenderà il
loro posto.
Perché nessuno
può prendere il posto di qualcuno in questa vita: ognuno ha il suo di posto.
La vita è come
un puzzle: ti può capitare di perdere qualche tessera e tu non ci puoi fare
niente, non sarà mai più perfetto.
Solo bisogna
sperare che alla fine di tutto l'immagine che si riesce a vedere non sia poi
tanto male.
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